Libri per l’isolamento, tipi da quarantena.
Ho letto un libro, pochi giorni prima della quarantena. Era appena uscito.
E in questo periodo, ci ho pensato spesso. Il primo dei libri per l’isolamento è “Senti che vento” di Eleonora Sottili.
E’ il 2000, l’anno del nuovo millennio, uno di quegli anni dalle cifre tonde che spesso mettono un po’ di inquietudine.
E’ l’inizio di un autunno stranamente caldo e piovoso a Bocca di Magra dove, in una casa sul fiume, vivono tre donne.
Due di loro sono madri. Due di loro sono figlie. E una è sia madre che figlia. Sono le donne di tre generazioni.
Agata, la più giovane fra loro, è prossima a lasciare quella casa. Sta per sposarsi. Piove forte, però, sempre più forte.
Durante una di quelle notti di preparativi e di allerte, il vento soffia impetuoso, la piena rompe gli argini, e l’acqua inonda il pianterreno delle abitazioni. Le tre donne si rifugiano ai piani superiori e, come esplicitando un patto familiare, decidono di non abbandonare la loro casa.
Trascorreranno in quel luogo i giorni della piena.
Il racconto, da parte di Agata, di quel periodo di sospensione si interseca con quello dei mesi precedenti, del proprio passato, prossimo e remoto.
La piena del fiume fa riemergere immagini e ricordi.
Come se si trattasse di una nuova partita a carte, i giochi si riaprono. Gli oggetti possono essere investiti di nuovi significati. Gli eventi possono essere rievocati e riletti con maggiore profondità.
Le relazioni ed i legami possono essere ripensati.
Ed è preziosa per Agata questa possibilità, di gettare nuova luce sulle esistenze delle generazioni che l’hanno preceduta, ora che lei si accinge ad affrontare la sua dimensione di persona adulta.
Ho ripensato spesso a questo romanzo nelle scorse settimane, dicendomi che è quando la solita vita si ferma e qualcosa ci obbliga ad azzerare tutto, che possiamo incrociare eventi, immagini, ricordi in modo diverso, ed avvicinarci ad un nuovo modo di ragionare.
Perché i momenti di sospensione sono luoghi di pensiero, e così anche questo nostro, attuale, periodo di isolamento può dare terreno a nuovi pensieri, nuovi progetti, nuovi punti di vista.
Avete presente ciò che scrive Murakami in “Kafka sulla spiaggia”?
“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.
C’è un altro “tipo da quarantena”. E’ un tipo veramente tosto, per stomaci robusti.
Se siete in questa condizione, il secondo dei libri per l’isolamento è “La strada” di Cormac McCarthy.
Un uomo e un bambino si muovono in un mondo distrutto, desolato, popolato da pochi sopravvissuti, in uno scenario post-apocalittico.
Sono un padre e un figlio. Il territorio in cui si muovono è quello nordamericano.
Vivono sulla strada, in perenne movimento. Si spostano perché nel loro mondo, in quel mondo distrutto, le abitazioni sono i luoghi più insicuri, più pericolosi.
Sono armati. Tutto ciò che hanno è nei loro zaini e in un carrello del supermercato, un contenitore con le ruote, su cui il padre ha collocato uno specchietto retrovisore per guardarsi le spalle.
Si muovono verso una meta, perché il padre ha una speranza e una paura.
Leggendo questo racconto, ci si rende immediatamente conto di ciò che tutti noi abbiamo, pur in questa situazione difficile: una casa, un luogo sicuro dove stare.
Una casa diventata un po’ una prigione, dove tutti ci sentiamo quasi agli arresti domiciliari senza aver commesso nessun delitto: eppure, un luogo che ci protegge.
Un luogo dove è spesso possibile coltivare buone relazioni, o ritrovarle. Un posto dove cucinare, nutrire il corpo e l’anima, scaldarsi, curarsi, riposare.
E scusate se è poco, mi viene da dire, pensando a quel padre e a quel figlio sulla strada. Una Strada dove ci si può muovere, ma in quali condizioni, e a che prezzo.
All’inizio della pandemia, in Italia ci siamo messi in fila davanti ai supermercati. Negli Stati Uniti, le persone hanno fatto la coda per acquistare un’arma.
Vedendo quelle immagini, non ho potuto fare a meno di ripensare a “La strada”.
L’ultimo dei libri per l’isolamento a cui ho pensato è invece un racconto poetico, molto delicato.
Il protagonista de “Le ricette della signora Tokue” del giapponese Durian Sukegawa è Sentaro, un uomo di circa quarant’anni, che vive lavorando in un baracchino dove cucina e vende dorayaki, un tipico dolce giapponese a base di pandispagna, che viene farcito con una marmellata di fagioli rossi.
E’ primavera, i ciliegi sono in piena fioritura, e i petali profumati sono ovunque nell’aria. In quelle giornate, Sentaro viene avvicinato da una donna anziana, che si offre di lavorare per lui.
L’uomo è molto perplesso, perché sì, avrebbe bisogno di un aiuto, ma non pensava ad una persona così anziana!
E poi la signora Tokue sembra avere qualche difficoltà di movimento. E quelle mani ricurve, le consentono di lavorare?
Sentaro rifiuta la proposta, ma Tokue è tanto gentile quanto insistente. Fa assaggiare al pasticcere la marmellata di fagioli rossi che lei confeziona da cinquant’anni… e quella preparazione ha un sapore strepitoso.
Tokue inizia a lavorare con Sentaro, che a quel punto è desideroso di scoprire il segreto della preparazione della marmellata.
Perché Le ricette della signora Tokue è un tipo da quarantena? Anzitutto perché, in questo periodo, quello della cucina è un argomento che sollecita l’interesse di molti fra noi: come Sentaro, siamo attratti dalla ricetta e dai suoi trucchi.
Ma la gentile signora Tokue ha ben altro da raccontarci… una storia che ha a che fare con la malattia, l’isolamento e – soprattutto – con la gioia del vivere.
E voi, che libri state leggendo? Quali consigliereste?
Lasciate un commento qui sotto!
Vuoi leggere gratis un estratto del mio libro? Clicca qui!
0 commenti