Incipit: breve elogio dell’inizio
Avevo fatto una scommessa.
Desideravo preparare un testo dove si parlasse dell’inizio, degli inizi, delle prime volte e di quanto tutto ciò spesso ci affascini a tal punto da catturarci, tenerci incollati ad una pagina se è un libro, al video se è un post o un articolo.
In questi tempi di isolamento, i consulenti di marketing e copywright dobbiamo trovarceli in casa… Ne avevo parlato con mio figlio ventenne, che in questi giorni mi sta aiutando a stendere i testi per il blog. E lui era stato molto critico: “Che razza di tema è, l’incipit? A chi vuoi che interessi!”
Allora, abbiamo fatto una scommessa. Gli ho detto che avrei sondato l’argomento con un gruppo di lettori, predicendo che l’argomento sarebbe stato di interesse. Ho scritto un post sulla pagina Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei lettori.
Ho vinto io. In 36 ore, 295 commenti e 86 like.
Ai partecipanti va il mio ringraziamento, per i numerosi riscontri… ed anche naturalmente, per la ricavata soddisfazione di essere nel giusto, pensando che gli inizi sono un tema curioso per gli amanti della lettura.
La maggioranza dei lettori che si sono espressi dice che, nella scelta di un libro, le prime frasi sono cruciali, una sorta di passaporto. Queste persone rievocano le prime parole dei testi che amano. Anche se non le ricordano letteralmente. E’ come se ne richiamassero alla memoria il profumo: piacevole, inebriante, intenso, delicato.
Molte persone hanno ricordato le prime parole con cui iniziano “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Chissà la gioia dei nostri insegnanti, che dovranno ora sentirsi ripagati delle ore di lezione, lettura, compiti in classe e interrogazioni sull’argomento!
Tante, tante persone hanno citato un altro incipit:
“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”
E’ l’inizio di Anna Karenina di Tolstoj, libro tanto noto quanto corposo (1000 pagine buone), citato in numerosi altri libri e film.
E’ il libro che la barista Tereza tiene sul bancone all’inizio di L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, e che la legherà a quel medico, di passaggio nel bar dove lavora, che si è incuriosito alla sua lettura.
L’incipit di Anna Karenina “smaschera” Renée de L’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, portinaia di un condominio di lusso a Parigi: l’averlo citato a memoria la rende visibile (lei che si era costruita un nascondiglio perfetto) e fonte di interesse per Kakuro Ozu, raffinato e colto giapponese, da poco trasferitosi nel condominio, e cambierà il corso della sua esistenza.
Insomma, gli inizi ci stregano, a volte. Il loro ricordo ci accompagna per molto, molto tempo, forse per sempre. Il suono di quelle parole ci rincorre in altri libri.
Come si spiega tutto ciò?
Anzitutto, pensiamo al valore della curiosità. Oltre ad un potente motivatore, la nostra curiosità ci orienta. Ci aiuta a scegliere che cosa prendere in considerazione, all’interno del bagno di informazioni in cui siamo costantemente immersi.
La nostra curiosità ci guida e ci fa prestare attenzione ad una – personale – selezione di argomenti.
La nostra attenzione, però, è un sistema a capacità limitata. Non possiamo stare in allerta su tutto, su troppe cose contemporaneamente. E’ necessario fare delle scelte. Se un argomento smette di incuriosirci, smettiamo di prestare attenzione.
Ci orientiamo su altro, e ci risparmiamo la fatica di processare quell’informazione, che – verosimilmente – a distanza di pochi minuti non ricorderemo più.
La nostra curiosità viene influenzata da molti fattori. Dal nostro stato d’animo, da ciò che ci ha stimolato in passato e di cui conserviamo memoria. Dal nostro livello di stanchezza. Dalla curiosità degli altri. Da come siamo fatti, dal momento in cui ci troviamo.
Pensiamo poi alle immagini che vengono evocate dalle parole. Alcune parole, alcune frasi, alcuni modi di scrivere sono sicuramente più “potenti” di altri per evocare immagini nella nostra mente.
Alcuni incipit suscitano scenari multisensoriali, come se da subito volessero condurre il lettore nel centro di una storia immergendolo in un bagno di sensi. Prendete, ad esempio, questo.
“Era inevitabile. L’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì non appena entrato nella casa ancora in penombra, dove si era recato d’urgenza ad occuparsi di un caso che per lui aveva smesso di essere urgente già da molti anni.” (L’amore ai tempi del colera, di Gabriel Garcìa Màrquez).
Altri testi agganciano il potenziale lettore perché lo mettono subito al centro della storia, in equilibrio (o in disequilibrio?) fra un passato ed un futuro, che devono ancora essere raccontati.
L’incipit contiene la promessa di svelare entrambi, e che la narrazione sarà interessante.
“Barrabàs arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore.” (La casa degli spiriti, di Isabel Allende)
Le prime frasi sono importanti per lo scrittore. Non solo, però, per catturare il lettore.
Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è un’altra storia.
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