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Madame Bovary? C’est moi!

A proposito del rapporto fra lo scrittore e i suoi personaggi

 

Questa frase, attribuita a Gustave Flaubert durante il processo in cui venne incriminato per oltraggio alla morale riguardo al personaggio di Emma, ci porta al cuore della questione: i personaggi di un romanzo sono autobiografici? Uno scrittore, una scrittrice raccontano le vicende di un personaggio, ma in realtà narrano di loro stessi?

 

Il quesito è interessante, ed apre ulteriori domande.

 

Quando uno scrittore costruisce un personaggio, che rapporto mantiene con lui/lei? Ne conosce tutte le sfaccettature o le individua a poco a poco? Le vicende di un personaggio sono note allo scrittore quando inizia a scriverne?

 

Ad esempio, nella prefazione a Un cuore arido, Carlo Cassola scrive come è nato questo nuovo libro, pubblicato a poca distanza da La ragazza di Bube, che gli ha dato la notorietà.

 

“Il nuovo romanzo mi proposi di scriverlo (…) affidandomi solo all’immaginazione. Iniziandolo avevo in mente poco più della prima scena, quella della ragazza sola sulla spiaggia. Siamo in un paesino che si anima solo durante la stagione dei bagni. La stagione è finita, cosa ci fa quella ragazza sulla spiaggia? Evidentemente, è un momento meditativo. Ma che cosa pensa? Chi è? Giacché non sapevo bene come fosse, né quali vicende le sarebbero potute capitare.”

 

A quanto leggiamo l’immaginazione, una volta attivata, sembra seguire un suo autonomo percorso, ignoto allo scrittore. I personaggi, collocati in un luogo e in una situazione, paiono agire di una propria forza, utilizzare un proprio motore. Un po’ come Pinocchio con il falegname Geppetto.

 

Il personaggio di Anna (protagonista di Un cuore arido) viene immaginato sulla spiaggia di un paesino di mare a fine stagione. Inizia poi a muoversi, e Cassola non sa dove lo porterà.  Leggiamo ancora le sue parole, mentre segue Anna che sta camminando di fretta, una sera.

 

É  buio. Accade un imprevisto, un soldato la raggiunge e la ferma afferrandola per un braccio. Anna grida.

 

“Il soldato (…) non vuole far violenza ad Anna. Allora come si spiega che l’abbia seguita e fermata? Al buio, l’ha scambiata per un’altra: si affretta infatti a scusarsi. Rimessasi dallo spavento, Anna è colpita dalla stranezza dell’incidente. Anch’io mi chiesi: quel soldato, per chi può averla scambiata, se non per la sorella?

Un nuovo personaggio, per nulla previsto, faceva così il suo ingresso nel romanzo e ne determinava il seguito.”

 

Ecco che il personaggio, nel suo muoversi, ne attiva un altro, che lo scrittore non immagina dall’inizio.  Non lo ha progettato. Mario il soldato farà prendere al romanzo una direzione inaspettata, imprevista.

Qualcosa cambia nella mente dello scrittore, che – ci racconta – dopo l’apparizione di Mario procede spedito, e senza quasi accorgersene arriva in fondo al suo racconto.

 

Ho recentemente incontrato la scrittrice Mariapia Veladiano che con il suo romanzo d’esordio, La vita accanto, nel 2010, si è aggiudicata il Premio Calvino. Le ho rivolto alcune domande sulla scrittura e sul suo rapporto con i personaggi:

 

 

“I personaggi di cui racconto le vicende spesso mi accompagnano nella quotidianità. Mi spiego: quando immagino un personaggio, e ne scrivo la storia, è come se me lo sentissi sempre vicino, appoggiato ad una delle mie spalle.

 

É una sensazione che non avverto subito, quando inizio a scrivere, ma successivamente, quando entro nel vivo della narrazione. In quella fase, spesso nella vita quotidiana mi vengono in mente parole che un dato personaggio potrebbe pronunciare, pensieri che potrebbe avere; se non ho la possibilità di registrare subito, non ricordo poi queste intuizioni.

 

Alle volte, un personaggio si modifica nel corso della stesura del romanzo. Un po’ come se avesse, una volta inventato, una vita propria.

 

Ad esempio, ne La vita accanto, il personaggio della zia Erminiain corso d’opera, è diventata una figura più ambigua, più manipolatrice. I miei pensieri iniziali riguardo alla sua figura non erano così cattivi… è come se il personaggio avesse “fatto da sé”, se avesse preso una strada autonoma rispetto alla mia idea”

 

Da questi esempi, ricaviamo una riflessione. Sembra che il controllo dello scrittore sul prodotto della propria immaginazione sia limitato: il pensiero razionale e consapevole costruisce l’inizio: un personaggio, un luogo.

 

Poi, l’immaginazione fa il resto, in modo non prevedibile, a volte anche in conflitto con il desiderio consapevole dello scrittore.

 

Lo scrittore, quindi, parla di sé? Anche quando non vuole farlo? Il mistero si infittisce.

 

 

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