Perché scrivere? Per conoscere
Perché scrivere? Per conoscere
“Cercasi casa per un bambino di un mese: completa rinuncia (complete surrender). Contattare il box…”
Potrebbe sembrare un incipit intrigante. E ci si potrebbe chiedere perché scrivere proprio queste parole.
Qualche volta, la realtà è ancora più spettacolare dei prodotti della fantasia.
Conoscere la storia e perché scrivere
L’annuncio risale al 1942.
Inghilterra, una donna molto in difficoltà lo pubblica su un quotidiano.
Rose – è il nome della donna – ha partorito da un mese un bimbo, nato da una relazione extraconiugale mentre il marito è sotto le armi. Evidentemente, per la situazione e per la guerra in corso, non vede altra scelta per lei che darlo in adozione, rinunciando completamente ai propri diritti di genitore su di lui.
Risponde all’annuncio la famiglia Sharp; un giorno di dicembre, il piccolo viene consegnato ai genitori adottivi nella stazione ferroviaria della città di Reading (e anche il nome della città, ve lo assicuro, è realtà).
Al bambino viene dato nome Dave.
A 14 anni, Dave scopre di essere stato adottato. Otto anni più tardi muore la madre adottiva (anche lei di nome Rose). Il ragazzo comincia a rivolgere al padre adottivo Pierce domande rispetto alla sua famiglia di origine, ricavando l’informazione di essere stato preso in adozione “attraverso un giornale”.
Diversi anni più tardi, morto il padre adottivo, mentre sta riordinando la casa dei genitori, Dave ritrova il ritaglio di giornale del 1942 in cui riconosce l’annuncio in cui viene offerto in adozione dalla madre naturale.
È solo quando ha 60 anni, però, che decide di contattare il “Salvation army family tracing service” (Servizio dell’Esercito della Salvezza che recupera informazioni sulle famiglie).
Rintraccia così la madre naturale, che è affetta da Alzheimer e non è in grado di rispondere alle sue domande. Una sorella della madre, però , visto anche lo stato in cui si trova la signora Rose, gli racconta la storia d’amore tra sua madre e David McEwan, un ufficiale dell’esercito scozzese, e della sua disperata decisione di ricorrere all’adozione.
La zia gli rivela anche il seguito: il marito di Rose è morto sul fronte di guerra in Normandia, consentendole così di sposare David McEwan, padre naturale di Dave.
Sei anni più tardi, a Rose e David nasce un altro figlio, a cui viene dato nome Ian.
Perché scrivere fa bene
Cominciate a capire? È la storia dello scrittore Ian McEwan. Nel 2007, fu lui stesso a raccontarla ai giornali, dopo essere stato contattato da Dave.
Nel 2008, viene pubblicato il libro Complete surrender, in cui Dave Sharp, aiutato da Ian, racconta l’intera vicenda.
Ho ricostruito questa affascinante vicenda per parlarvi di un aspetto dello scrivere, forse il più interessante da un punto di vista psicologico. In altri articoli, ho affrontato il tema del complesso rapporto fra uno scrittore e i suoi personaggi.
Oggi invece vorrei soffermarmi su un punto, stimolata dalla storia (vera) di Ian Mc Ewan, scrittore molto prolifico, nei cui romanzi (soprattutto quelli scritti prima del 2007) ho sempre percepito una grande “urgenza” narrativa, e una raffinata capacità di entrare nella mente dei personaggi e di sondarne le emozioni e i conflitti.
Penso che ricorderò per sempre, ad esempio, “Il giardino di cemento” o “La ballata di Adam Henry”.
Credo che alcune persone abbiano non solo la capacità di scrivere, ma il bisogno di farlo, perché la scrittura narrativa è per loro uno dei possibili strumenti di conoscenza.
In modo simile (ma più intenso e ricco qualitativamente) a quanto accade nella lettura, lo scrittore che inventa personaggi e situazioni scopre nuove parti di sé: lati ancora in penombra, non ancora esplorati.
Un altro aspetto dello scrivere
Se ripenso, però, alla vicenda di Ian e alla sua ricca produzione letteraria, rifletto anche su un altro aspetto dello scrivere.
Le cose non dette “risuonano” nelle famiglie: dalle cose più piccole ai grandi segreti inconfessabili, dagli avvenimenti più piacevoli alle comunicazioni negative, ciò di cui non si parla esplicitamente può venire agito.
I bambini piccoli (come ben sanno gli psicoterapeuti che si occupano di prima infanzia) sono, in questo senso, grandi recettori. I bambini (in particolar modo quelli inferiori ai sei anni) non utilizzano esclusivamente il linguaggio per comprendere o comunicare.
Quante volte avete detto (e sentito dire) che “i bambini hanno le antenne radar”, in riferimento alla capacità infantile di cogliere da uno sguardo, una postura, il tono della voce quello che l’adulto non intendeva comunicare? I bambini, molto più degli adulti, colgono gli aspetti non verbali della comunicazione.
E le comunicazioni non verbali veicolano soprattutto gli aspetti emotivi e relazionali. Ad esempio, un certo gesticolare, una postura, possono rivelare lo stato ansioso di una persona, anche se sta parlando della propria serenità. Il modo di interagire fra due persone rivela molto spesso in che rapporti siano fra loro, anche se non sentiamo il loro discorso.
Alcuni bambini mantengono questa sensibilità al non verbale (e quindi a cogliere emozioni e relazioni da gesti e postura) anche quando imparano a destreggiarsi con il linguaggio.
Scrivere e le possibilità dell’immaginazione
Uno dei libri di Ian McEwan ha per titolo “L’inventore di sogni”, qualcuno di voi lo ricorderà, è un libro per l’infanzia. Racconta la storia di Peter Fortune, ragazzo considerato un po’ strano dagli adulti, perché molto distratto. Peter ha una grande immaginazione, e produce sogni ad occhi aperti. Uno dopo l’altro, i suoi sogni lo aiuteranno ad affrontare le difficoltà della sua quotidianità e lo traghetteranno verso l’adolescenza.
Credo che l’immaginazione, tradotta nella scrittura narrativa, abbia questa possibilità: apre una strada ad una possibile conoscenza autentica non solo di aspetti di sé non ancora esplorati, ma anche degli aspetti emotivi, affettivi e relazionali della realtà umana che ci circonda.
Un caro ringraziamento, anche questa volta, a Paolo Mazzo per la fotografia.
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