Quand’è che ho cominciato a guardare il mondo da un oblò
E perché vi consiglio di affacciarvi al mio blog (e al mio romanzo)
Questa è la storia di come è nato il mio romanzo “Se guardo il mondo da un oblò“.
Tutto inizia quando ho deciso di scrivere… un saggio. Per la precisione, un approfondimento di psicologia sul tema della narrazione. La ricerca è stata lunga: ho iniziato con articoli e testi scientifici. Poi sono passata a spulciare le prefazioni dei romanzi che avevo a casa, in cui spesso gli autori “confidano” ai lettori come sono nati i loro personaggi. Ho anche contattato alcuni scrittori per un’intervista, incuriosita dalla scrittura come esperienza psicologica. Ho preparato un accurato indice degli argomenti, ho iniziato la stesura dei primi capitoli. E lì, mi sono arenata. La curiosità iniziale era svanita ed erano subentrati noia, fatica, scarsa motivazione a proseguire.
E poi, è arrivata Laura, quella che sarebbe diventata la protagonista di “Se guardo il mondo da un oblò”. Ma ancora non lo sapevo.
Lei ha iniziato a “mostrarmi” una serie di situazioni, il suo vissuto. Era strana, faceva cose insolite. Si auto-isolava (precedendo tutti noi, dato che la pandemia era ancora lontana dalle nostre vite!), selezionava in modo accurato i suoi contatti sociali. Teneva le distanze, teneva a distanza. E non era molto felice.
Ho capito che potevo darle ascolto, che dovevo darle una possibilità, anche se non sapevo, esattamente, dove questa possibile esperienza mi avrebbe portato. Molti scrittori dicono che i loro personaggi arrivano senza preavviso, ma non avrei mai pensato accadesse a me: non avevo frequentato corsi di scrittura creativa e, prima di allora, non avevo mai pensato di scrivere un romanzo o un racconto.
Laura mi accompagnava nelle mie giornate, qualche volta mi sussurrava qualcosa all’orecchio. Le ho dato una professione, e un modo di esercitarla che le si addicesse. Un’amica, un fidanzato, dei genitori. Mi ha raccontato le sue giornate, le sue attività, le sue paure, le sue preferenze, le sue ossessioni, le sue tristezze (come può capitare in una seduta psicologica ma soprattutto come accade quando ci si fida – e affida – a qualcuno). I suoi incontri e i suoi non-incontri. Ho cominciato anch’io, come Laura, a guardare il mondo da un oblò. Ad adottare il suo punto di vista. La protagonista usa la fotografia come un filtro attraverso cui approccia la realtà: io usavo Laura, il suo modo di essere, il suo funzionamento mentale per decodificare le immagini che via via mi arrivavano e in cui la vedevo protagonista.
Entrando in contatto empatico con il modo di essere di Laura, cercavo di dare significato a questi e ad altri quesiti.
Un paio di anni fa, la storia era a buon punto. C’era la protagonista, gli altri personaggi, uno svolgimento e una conclusione. Eppure, sentivo che mancava qualcosa. Mi mancavano delle immagini: pensavo, con insistenza, che il racconto per sentirsi completo avesse necessità di essere corredato di immagini fotografiche. In quel periodo, ho chiesto al fotografo Paolo Mazzo di iniziare una collaborazione. Con molta generosità (e, devo dire, anche coraggio!) ha accettato di iniziare un percorso di lavoro insieme. Paolo è un fotografo che ama l’architettura e i grandi spazi esterni: in questa esperienza ha accettato di avventurarsi nella mente di Laura, che intende la fotografia in modo molto diverso da lui, prestandole immagini utili a rappresentare il suo stato d’animo che mutava con il progredire della narrazione. La sua collaborazione è stata preziosa anche per l’organizzazione grafica delle pagine, per revisionare l’intero testo e per predisporne l’involucro: la copertina e il suo retro.
Quello che ne è nato è sotto i vostri occhi, pronto per essere letto e guardato.
Ora che la storia di Laura è stata pubblicata e può essere letta, sono molto grata di questo percorso, di questa avventura: costruire un personaggio, confezionarle intorno una narrazione, e seguirlo nelle sue evoluzioni. Un’esperienza preziosa, anche se sicuramente non facile né immediata. La generazione di un personaggio e della sua storia (come tutte le nascite!) prevede una serie di passaggi. Alcuni di questi sono particolarmente impegnativi e possono causare sofferenza. Così come, quando nasce un figlio, i suoi genitori devono mettere a confronto il bambino che si sono immaginati durante la gestazione con quello reale, anche chi crea un personaggio e una storia deve fare i conti con la realtà di quello che ha creato.
Qualche volta ciò che si è inventato non piace. O inquieta. O fa arrabbiare.
Perché i personaggi hanno una loro vita autonoma e un loro preciso carattere.
Altre volte, chi scrive pensa di avere creato un capolavoro. E non accetta di mettere in discussione questa idea, così come certi genitori sono convinti che il proprio figlio è sempre e comunque la persona migliore del mondo.
La narrazione immaginaria mette a contatto con emozioni molto intense, a volte difficili da gestire. Non sempre ci sono le risorse psicologiche per poter tollerare, contenere, rielaborare ciò che via via si sperimenta.
Da lettori, invece, assistiamo al processo della narrazione creativa da una posizione privilegiata: stando alla finestra. Leggendo – e identificandosi con il protagonista e con gli altri personaggi – possiamo seguire il percorso di un soggetto stando a dovuta distanza, senza doversi immergere nel “bagno di sangue” emotivo della scrittura creativa.
Se è vero (ed io credo di sì) che scrivere può arricchire perché consente una dilatazione del Sé, tramite l’opportunità di dare spazio ad angoli della personalità non ancora esplorati e di amplificarli, leggere permette di moltiplicare le proprie esperienze di vita.
Come diceva Umberto Eco:
Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Per questo oggi vi faccio una proposta: affacciatevi all’oblò. Guardate quello che nasce, che cambia, cresce e matura in questo romanzo. Sarà come vivere, oltre alla vostra, un’altra vita.
Un ringraziamento a Paolo Mazzo per la foto!
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