La madeleine di Proust: un viaggio fra memoria e sensorialità
Ora siamo all’inizio dell’estate. La temperatura supera i trenta gradi, si sentono frinire le cicale. I vestiti aderiscono alla pelle, abbiamo bisogno di bere spesso. Ci infastidiscono i capelli sulla nuca, li raccogliamo o li accorciamo. Cambiano i sensi e le percezioni.
Anche solo con un piccolo esercizio di concentrazione, ci accorgiamo che queste sensazioni ci riportano a degli eventi, a episodi della nostra esistenza – anche banali – in cui abbiamo provato qualcosa di simile.
È quel fenomeno per cui, nel cambiare della stagione, la memoria ripropone ricordi di avvenimenti passati legati a quelle condizioni climatiche (i luoghi dove siamo stati, le persone che abbiamo incontrato). Situazioni che, magari, non ricordavamo più.
Proust e la riscoperta delle sensazioni
Mi hanno sempre incuriosito lo scrittore francese Marcel Proust e il suo monumentale scritto Alla ricerca del tempo perduto(Einaudi Editore, 2017). Non solo per l’incipit suggestivo (“Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera”) e per le centinaia e centinaia di pagine scritte (non farò la saputella, come la maggior parte di noi non l’ho letto tutto!), ma anche per lo sforzo di Proust di riportare a mente il passato, partendo proprio da specifiche sensazioni.
Nel suo caso, qualcosa di dolce…
Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine.
L’inizio di un viaggio emozionale
Il brano forse più conosciuto dell’opera di Proust, è il perfetto punto di partenza per ricostruire un percorso fra memoria e sensorialità. Una giornata fredda. Pensieri cupi verso il presente e l’immediato futuro. L’offerta di una bevanda calda, un’insolita adesione alla proposta. E, poi, succede qualcosa.
Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa.
Una improvvisa e inspiegabile (razionalmente) piacevolezza. E c’è dell’altro. Quella positiva sensazione sembra avere un effetto istantaneo sull’umore:
E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale.
Anche noi lettori, come Proust, proviamo la curiosità di sapere cosa avesse di così speciale quel pezzo di dolce intriso di tè, per scatenare un simile effetto: cosa può avere il potere di cambiare così radicalmente e così rapidamente il sapore di una giornata?
Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla?
Il sottile legame tra memoria e sensazione
Lo scrittore si dice che una sensazione così intensa non poteva essere legata, semplicemente, al gusto e all’olfatto. Percepisce che c’è dell’altro, ma non sa ancora che cosa. Una cosa, però, gli è evidente:
È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce (…)
La percezione positiva, ci racconta lo scrittore, è stata generata dalla mescolanza di sostanze introdotte nella sua bocca, e gli è arrivata tramite i sensi. Il motivo per cui – immediatamente dopo – si sia sentito così bene, però, non deriva da qualcosa che è contenuto nelle sostanze introdotte, perché è di altra natura. Non deve cercare all’esterno di sé, ma in lui stesso. E così fa.
Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità… retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più… ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi… All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio.
Eccolo. Seguendo i percorsi che gli sono propri, e come riemergendo da spazi profondi, è arrivato il ricordo positivo che era stato riattivato, ed insieme a questo la consapevolezza della sensazione di benessere legata ad un piccolo, ma prezioso e dolce, gesto di accudimento.
Come risvegliare le sensazioni positive?
Capita spesso durante l’infanzia: un adulto amato, in cui si ripone la fiducia, fa distrarre da un malumore e lo fa svanire. Quando eravamo bambini, gli adulti che ci hanno voluto bene hanno probabilmente usato varie strategie per farci tornare sereni: ci hanno cantato una canzoncina, ci hanno letto una storia, magari ci hanno preso in braccio o ci hanno cullato. Altre volte ci hanno offerto qualcosa da bere o da mangiare. Ma se la tristezza, la rabbia o l’inquietudine sono svanite non è per qualcosa che era contenuto in ciò che abbiamo consumato.
La lettura di questo brano di Proust ci conduce proprio lì: a cancellare le sensazioni negative sono stati il gesto, la postura, ma soprattutto l’esperienza di sentirsi contenuti in una relazione positiva. E se l’abbiamo vissuta, ne possiamo rievocare in noi il ricordo e – tutte le volte che ne abbiamo bisogno – riviverla.
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Bello Roberta, grazie
Grazie Barbara e buon lavoro!!