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 La vita accanto: intervista all’autrice

 

Siete anche voi uno di quei lettori che, una volta terminato un libro che vi è molto piaciuto, continuate a rigirarvelo fra le mani, leggete ogni cosa compresi i ringraziamenti, la didascalia della foto di copertina e l’indice dei capitoli? A me capita spesso, fatico a separarmi fisicamente dai libri che ho molto amato, che mi hanno trasformato. Ho bisogno di tenermeli vicini per un po’. Alcuni di essi affollano il mio comodino e vi stazionano per anni. 

 

Uno di questi è La vita accanto di Mariapia Veladiano, che ho letto nel 2011, dopo che aveva vinto il Premio Calvino (il premio letterario dedicato agli scrittori esordienti) nell’edizione del 2010 ed era stato pubblicato dalla Giulio Einaudi Editore. 

 

La storia mi ha molto incuriosito. Ho immaginato più volte di poter incontrare l’autrice e di parlarci. Di lei sapevo che fino al 2010 non era una scrittrice di professione e del suo esordio “tardivo”.

 

Avevo il desiderio di esplorare come fosse arrivata alla scrittura narrativa, e da dove fosse nato quel romanzo, se si basasse su una storia vera oppure se fosse del tutto immaginaria. 

 

Quella vicenda della bambina che “nasce brutta” e che vive quasi reclusa in una grande casa vicino al fiume a Vicenza fino a che non va a scuola. Il padre medico, molto taciturno. La presenza muta della madre. Le lacrime di una tata affettuosa, le incursioni della zia Erminia, sorella gemella del padre. La scoperta della musica. 

 

Mi chiedevo se ci fossero (e quali fossero) degli elementi di realtà, quali invece gli aspetti di finzione.

 

L’ 8 dicembre 2018 la scrittrice – che nel frattempo aveva pubblicato altri testi – è venuta a Brescia, dove vivo, per una presentazione. Mi sono fatta avanti, le ho chiesto la possibilità di concedermi un’intervista. Mariapia ha accettato, e questa che vi riporto fedelmente è la trascrizione della nostra conversazione di quella serata.

 

Mariapia, come è arrivata alla scrittura narrativa?

Ho sempre scritto, fin da giovanissima, anche per motivi di studio (Mariapia Veladiano è laureata in Filosofia e in Teologia). Per lunghi anni ho praticato quella che chiamo “scrittura di servizio”, come collaboratrice della rivista Il Regno. Parallelamente, coltivavo una scrittura privata, narrativa: racconti, favole per bambini. Non avevo, però, mai pensato a una pubblicazione di questi testi, fino a quando, a cinquant’anni, ho preso due decisioni esistenziali: ho deciso di partecipare al concorso direttivo (Mariapia ora è dirigente scolastica) e ho inviato un romanzo al Premio Calvino.  

La vita accanto – vincitore Premio Calvino 2010, finalista Premio Strega 2011 – ha cambiato la mia vita, l’ha trasformata.

 

Come è nato “La vita accanto”?

È nato dall’incipit. Avevo in mente le prime frasi del romanzo, che sono poi rimaste tali e quali nel testo pubblicato. L’idea di partenza era un pensiero, il punto di vista di una donna brutta, di una bambina che nasce brutta. 

 

La vita accanto è ambientato in una zona della città di Vicenza. Luoghi che conosco, che esistono nella realtà: case, palazzi, giardini che ho sempre ammirato dall’esterno, ma in cui non sono mai entrata. 

 

Ecco, devo dire questo: nello scrivere il testo, ho sempre avuto un’immagine molto nitida dell’interno della casa in cui immaginavo si svolgesse la vita della protagonista, Rebecca, e dei suoi familiari. Così come, molto chiara, ho l’immagine dell’interno della casa della signora de Lellis, dove Rebecca trascorre molti dei suoi pomeriggi. Vedo proprio tutto, nel dettaglio: la disposizione delle stanze, l’arredamento, le scale interne, le ampie finestre, il colore con cui sono tinteggiate le pareti. 

 

A una delle presentazioni del libro, una lettrice mi chiese se, per il personaggio della signora de Lellis, mi fossi ispirata ad una persona realmente esistita, che era solita camminare da sola per le strade della città di Vicenza con passo elegante, e sempre vestita di bianco. Beh, mentre scrivevo il romanzo non ricordavo nulla, ma dopo che mi è sato detto, ho recuperato il mio ricordo personale: effettivamente, anch’io avevo memoria di quella persona.

 

Che rapporto ha con i personaggi dei suoi romanzi?

I personaggi di cui racconto le vicende spesso mi accompagnano nella quotidianità. Mi spiego: quando immagino un personaggio, e ne scrivo la storia, è come se me lo sentissi sempre vicino, appoggiato a una delle mie spalle. 

 

È una sensazione che non avverto subito, quando inizio a scrivere, ma successivamente, quando entro nel vivo della narrazione. In quella fase, spesso nella vita quotidiana mi vengono in mente parole che un dato personaggio potrebbe pronunciare, pensieri che potrebbe avere; se non ho la possibilità di registrare subito, non ricordo poi queste intuizioni.

 

Alle volte, un personaggio si modifica nel corso della stesura del romanzo. Un po’ come se avessere, una volta inventato, una vita propria.

 

Ne La vita accanto, ad esempio, il personaggio della zia Erminia è cambiato in corso d’opera, diventando una figura più ambigua, più manipolatrice. I miei pensieri iniziali riguardo alla sua figura non erano così cattivi: è come se il personaggio avesse “fatto da sé”, se avesse preso una strada autonoma rispetto alla mia idea.

 

Il ricordo che ho di quella sera, oltre alla piacevolezza dell’incontro, è di un senso di illuminazione. È come se la breve conversazione avesse puntato una lampada sulla mia mente. In quel periodo, stavo raccogliendo del materiale per un progetto di saggio in psicologia della scrittura narrativa. Laura (la protagonista di Se guardo il mondo da un oblò), però, esisteva già. Mi stava già accanto. Era presente nelle mie giornate, aveva una sua esistenza autonoma.

 

Mi obbligava a guardare le sue stranezze, a seguirla nelle sue uscite, ad accompagnarla negli incontri che stava facendo e che la stavano trasformando.

 

Anch’io, come Laura, in quel periodo ho fatto degli incontri. Alcuni piacevoli e interessanti, come quello che vi ho descritto oggi. Altri più noiosi. Altri inutili. Altri, decisamente fastidiosi. 

 

Alla fine di quell’anno, però, mi sono detta che ci volevo provare. 

La storia di Laura doveva vedere la luce, intendevo raccontarla e provare a pubblicarla.

 

Perchè i nostri sogni ci aspettano. Ci danno del tempo, sono pazienti. Continuano, però,  a ricordarci della loro esistenza. E, se riusciamo ad ascoltarli, alla fine ci orientano, ci fanno da bussola e ci indicano quali occasioni possiamo raccogliere per realizzarli.

 

Per me è stato così. Spero che, per ciascuno di voi e per i vostri sogni, possa succedere la stessa cosa. 

 

 

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