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Fra immagine ed immaginazione: storia di una poesia

Il poeta Montale e una fotografia che arriva da Trieste.

Un biglietto che parte da Trieste

E’ il 25 settembre 1928. Da Trieste parte una lettera, che contiene un breve saluto ed una fotografia.

In quegli anni, nella città mitteleuropea si registra un grande fermento culturale.

Il destinatario del biglietto è Eugenio Montale (Eusebius per gli amici triestini che frequentava in quegli anni), futuro premio Nobel per la letteratura.

L’autrice della fotografia è Margarete Frankl (per tutti, Gerti).

L’autore del biglietto è Roberto Bazlen (per tutti, Bobi).

Il biglietto è molto semplice, quasi telegrafico (“Gerti e Carlo: Bene. A Trieste, loro ospite, un’amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus) ma molto suggestivo per il poeta.

 

Un poeta, una fotografia

Eugenio Montale non conoscerà mai Dora Markus, forse di lei conoscerà poco più di ciò che appare in quella foto: un dettaglio fisico, una postura, il gesto di sollevare leggermente la gonna plissé. Da quei dettagli visivi, immaginando una donna, un’esperienza di vita, una personalità, Il poeta crea una poesia, come l’amico Bobi gli aveva suggerito.

Dora Markus è una delle più note liriche del poeta. Molti di voi ne avranno un ricordo, probabilmente legato all’ultimo anno delle superiori, forse all’esame di Maturità. E’ stata scritta in due tempi e pubblicata solo molti anni più tardi, in epoche diverse da quel 1928 triestino.

 

Si può essere “suggeritori” di scritti?

Penso invece che pochi fra voi conoscano Bobi Bazlen e il suo percorso esistenziale e professionale. E’ veramente curioso scoprire le sue tracce nel panorama intellettuale, letterario ed editoriale italiano (leggete, ad esempio, “Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio” di Giulia de Savorgnani) e anche ricostruire i tratti del suo carattere che lo hanno reso interlocutore e “suggeritore” (motivatore, diremmo oggi?) di poeti e letterati.

 

Immagine e immaginazione: una relazione creativa

La storia della poesia “Dora Marcus” che vi sto raccontando mi permette di parlarvi del rapporto che c’è fra immagine e immaginazione.

Ingenuamente, si può credere che l’immaginazione sia libera, che nell’immaginare non siamo influenzati da nulla. Che basti dare sfogo alla fantasia per inventare qualcosa di nuovo e di condivisibile con altri.

Non è così: ognuno di noi, nella creazione di un disegno, di una poesia o di un racconto, del testo di una canzone utilizza il proprio personale capitale di immagini. La nostra psiche è infatti costituita dalla somma delle immagini mentali costruite con le esperienze e con le relazioni.

Le nostre immagini personali e la possibilità di utilizzarle

Alle volte, le immagini sono sepolte dentro di noi. Non riusciamo ad accedervi, perché i ricordi ad esse collegati ci disturbano emotivamente. Siamo ricchi, ma non riusciamo a spendere. Non è possibile utilizzare le immagini per creare qualcosa di nuovo. In quelle situazioni, possiamo sentirci bloccati.

Desideriamo immaginare con tutte le nostre forze, ma non ci riusciamo.

 

Il “blocco dello scrittore”

Agli artisti può capitare di non riuscire più a scrivere, a disegnare, a comporre, a creare: sono esperienze comuni, in alcuni casi fonte di grande angoscia per chi le sperimenta.

 E’ in quel momento, è in quelle situazioni che gli altri ci vengono in aiuto, se gli altri sanno come fare. L’immaginazione bloccata ha bisogno di elementi di realtà per riattivarsi, ha bisogno di nuove immagini.

La fotografia scattata da Gerti e il telegrafico biglietto di Bobi hanno aiutato Eusebius a creare. Ed ecco il risultato che tutti noi, oggi, possiamo apprezzare.

Dora Markus     

1

Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all’altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s’affondava
una primavera inerte, senza memoria.

E qui dove un’antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d’avorio; e così esisti!

 2

Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl’irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell’acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.

La sera che si protende
sull’umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d’oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.

La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d’oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l’armonica guasta nell’ora
che abbuia, sempre più tardi.

È scritta là. Il sempre verde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino…
Ma è tardi, sempre più tardi.

Eugenio Montale

da “Le occasioni”, Einaudi Editore, 1939

Foto: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=7756524

 

 

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