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Perchè leggere è appassionante

Perchè leggere è appassionante

Perché leggere è appassionante

 

E ci può essere utile nei momenti difficili 

 

 Tempo fa mi occupavo, professionalmente, di persone anziane. 

 

Nella terza età, le manifestazioni cliniche legate alla depressione – nelle sue varie forme, dai disturbi affettivi ad una vera e propria patologia –  sono molto frequenti.  I familiari chiedono l’intervento dello psicologo perché gli anziani si isolano, sono sempre tristi, non vogliono uscire di casa.

 

Ho incontrato, in quegli anni, molte persone per valutazioni e consulenze psicologiche. In alcuni casi ho avviato delle psicoterapie. Con molte difficoltà e, ogni tanto, qualche successo.

 

Gli anziani che incontravo, molto spesso, assumevano una terapia farmacologica, ansiolitica o antidepressiva, in alcuni casi anche da molti anni. Era difficile “ingaggiare”, entrare in relazione terapeutica con soggetti di questo tipo. Inoltre, mi sentivo in contatto empatico con i familiari che spesso soffrivano molto per i comportamenti dei loro cari. 

 

Lettura e scrittura: il conforto della carta

 

Come spesso mi è accaduto nella vita professionale, ho cercato aiuto e conforto nella carta.

 Ho cercato libri e articoli scientifici che parlassero dell’argomento. Vi parlerò oggi, in particolare, di uno scritto dello psichiatra Paolo Migone, letto in quel periodo e risultato non solo confortante, ma anche illuminante, in particolare per un aspetto.

 Nell’articolo, Paolo Migone commenta e riflette su uno studio effettuato negli U.S.A. da I. Kirsch e dai suoi collaboratori (con modalità coraggiosamente molto diverse rispetto a tutti gli studi allora disponibili) riguardo all’efficacia dei farmaci antidepressivi. È molto interessante. Se è stato proposto a voi o ai vostri familiari di assumere farmaci antidepressivi o ansiolitici, ve ne consiglio una lettura attenta.

 

Professionalmente, la lettura di quell’articolo ha rinnovato la mia fiducia nel valore e nelle potenzialità degli strumenti non farmacologici nei disturbi affettivi, nelle depressioni, nelle demenze. Da allora in poi, ho approfondito, studiato ed applicato varie tecniche che si sono rivelate molto spesso efficaci, anche in patologie così gravi.

 Nell’articolo si dice un’altra cosa molto interessante:

 “Kirsch suggerisce un’altra possibilità, quella di usare interventi molto meno costosi, come la ginnastica o la ‘biblioterapia’, che hanno un effetto terapeutico dimostrato (…)”.

Biblioterapia e uso professionale della lettura

Nel leggere “biblioterapia”, la sensazione è stata simile a quella dell’accendersi di una lampadina in una stanza buia: amavo i libri e la lettura da sempre, ed ora scoprivo che avrei potuto utilizzare questa passione anche professionalmente! Già conoscevo, invece, il valore della attività fisica come stabilizzatore dell’umore.

Sono molto grata a Marco della Valle per il suo corso on line di biblioterapia, che ho frequentato in quel periodo, in cui ho appreso che c’è una differenza fra la biblioterapia clinica (praticata all’interno di un percorso di psicoterapia, e quindi nell’alleanza di lavoro con il paziente ed in un clima di fiducia) e la biblioterapia di sviluppo, quella che ha per obiettivo l’accrescimento ed il benessere e che può essere svolta da bibliotecari, insegnanti o da altri operatori formati per farlo.

Negli ultimi anni, ho iniziato a  utilizzare la biblioterapia clinica nei percorsi di psicoterapia individuale. Sono contenta di poter fare un uso professionale della passione per la letteratura.

Leggere è terapeutico

Leggere è un’attività che consente di de-centrarsi rispetto alle proprie difficoltà psicologiche. Quando il clima terapeutico lo permette e si trova il libro giusto per quel paziente, ne suggerisco la lettura. Se il percorso funziona, trovo nel testo scritto (un romanzo, un saggio, una biografia…) un valido alleato.

Per carattere, sono portata a non “tenere solo per me” quello che scopro utile e interessante. Quindi, ho iniziato a praticare anche la biblioterapia di sviluppo. Sono felice quando un’amica, una conoscente o una collega mi chiedono di consigliare loro un libro da leggere, o che possono regalare. 

A partire da ottobre 2019, ho avviato un gruppo di lettura. Leggere e discutere di libri insieme ad altri appassionati di letteratura  è per me un’esperienza preziosa, per la quale sono profondamente grata a tutti i partecipanti. La pandemia non ci ha fermato, ci siamo regolarmente incontrati tutti i mesi su una piattaforma telematica. Non eravamo abituati a farlo, ma ci siamo riusciti!

Leggere, ne sono convinta, trova il suo valore non solo nell’ampliamento delle conoscenze possibili e nella moltiplicazione dei punti di vista su un problema. Mentre seguiamo le vicende di un protagonista e dei personaggi in un romanzo (e con loro ci identifichiamo, se il testo è ben scritto) ci immedesimiamo nella vicenda raccontata.

I libri giusti per nutrire la mente

Certo, non è facile trovare i libri giusti, quelli che fanno per noi, fra tutti i testi in catalogo e in uscita. Alle volte, vi può capitare di incappare in libri decisamente brutti, mal scritti. Oppure con cui non vi sentite in sintonia in quel periodo. Non fermatevi, però, a queste difficoltà. Così come, se informati, possiamo scegliere quali cibi introdurre nella nostra bocca per una buona alimentazione, così è realizzabile (anche facendoci aiutare, naturalmente!) avvicinare un buon testo per nutrire la nostra mente.

Molte sono le parti di noi e della nostra personalità. Alcune sono ancora inesplorate, anche se ormai siamo adulti e abbiamo molta esperienza di vita e di relazioni con altri. 

L’identificazione con i personaggi di un testo ci può consentire di avere accesso ai lati di noi che ancora non conosciamo, e di vederli evolvere, crescere, maturare. E prendere il volo.

 

 La foto anche questa volta è di Paolo Mazzo, e la fotografia ritrae la casa “M’ama non m’ama” dell’architetto Diego Peruzzo.

 

 Ti è piaciuto l’articolo? Leggi gratis un estratto del mio libro!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fiori di quarantena: la crescita psicologica nella pandemia

 

 

Sarà stato perché quella in corso è una primavera davvero particolare, ma ho visto immagini di fiori condivise ovunque: un modo forse per ricordare la bellezza che ci attendeva, là fuori, dove la natura sembrava respirare e prendersi nuovi spazi, mentre l’umanità era bloccata nel suo letargo obbligato.

 

I fiori erbacei non sono gli unici ad essere spuntati in quarantena: anche psicologicamente  abbiamo scoperto nuove identità, ci siamo interrogati sulla nostra crescita, abbiamo ripensato al concetto di “umanità” e siamo (forse) maturati… fioriti, appunto. 

 

 

Fiori cresciuti nel dolore?

Certamente, non per tutti il periodo della pandemia è stato “tutto rose e fiori”. 

Chi si è ammalato, chi ha sofferto per una patologia o per la perdita dei propri familiari è stato messo duramente alla prova. Ma l’evoluzione dell’umanità insegna che il processo per superare le difficoltà di una fase della vita, anche la più complicata, può essere il motore per lo sviluppo di processi positivi. Gli esperti la definiscono crescita post traumatica (ad esempio, Zoeller & Maecker, 2006). Negli ultimi anni, si è molto studiata l’esperienza soggettiva di chi, vissuta e superata un’esperienza traumatica (una grave malattia, un lutto, un evento catastrofico), riferisce cambiamenti psicologici positivi.

Crisi e creatività

 

Potenzialmente, tutti i periodi di crisi sono momenti creativi. La difficoltà, la mancanza, il dolore, le necessità possono portare la mente umana a percorrere vie inedite per cercare di raggiungere comunque i propri obiettivi, e quindi a inventare soluzioni nuove per problemi antichi e presenti.

Ne parla Jared Diamond nel suo recente saggio Crisi . Come rinascono le nazioni (Einaudi, 2019):

«Tutti, a ogni livello, si trovano prima o poi ad affrontare crisi e spinte al cambiamento. Tutti, nessuno escluso: dai singoli individui ai gruppi, alle aziende, alle nazioni, fino al mondo intero. (…) Per affrontare in modo positivo le pressioni interne o esterne è necessario un processo di cambiamento selettivo, e questo vale tanto per le nazioni quanto per gli individui.

Individui e nazioni devono innanzitutto valutare onestamente le proprie capacità e i propri valori: decidere quali parti di sé restano adeguate anche nella nuova realtà e sforzarsi coraggiosamente di riconoscere ciò che invece va cambiato. L’obiettivo è individuare nuove soluzioni in armonia con le capacità e le caratteristiche di ciascuno. Al tempo stesso è necessario tracciare un confine intorno agli elementi fondanti della propria identità, che in quanto tali non si ritengono modificabili».

 

Selezionare significa perdere o crescere?

 

Ma come funziona il processo di selezione che permette di intervenire su di noi (e l’ambiente che ci circonda) senza perdere proprio la nostra identità, puntando invece a un processo di crescita?

(Potete approfondire il tema anche in un mio post precedente, “Non si può morire dentro”)

Per questo vi chiedo di abbandonarvi per un momento alla metafora floreale. 

Per loro natura, i fiori possono durare solo un solo giorno. Altri, se non innaffiati, sfioriscono. Altri maturano per lasciare il posto ai frutti. Pensate a quello che in questi mesi è “spuntato” in voi o nella vostra famiglia: potreste non averlo notato in modo chiaro o potreste esservene già dimenticati, presi dalla foga della ripresa.

Quali sono i fiori sbocciati in questa nuova umanità?

 

Il fiore della vicinanza. Quanti hanno avuto molti più contatti telefonici, telematici o via social in questo periodo? Personalmente, ho sentito amici, conoscenti e familiari di cui non avevo notizie da molto tempo, e tutto ciò mi ha fatto molto piacere, tanto che ho mantenuto l’abitudine agli scambi di notizie anche dopo la riapertura.  Un fiore sbocciato da coltivare. Certo, ora c’è meno tempo, ma abbiamo utilizzato (e in alcuni casi, scoperto) canali alternativi di comunicazione, per scoprire che l’impossibilità di vedersi di persona non deve essere un freno alla socializzazione. Perché la vicinanza relazionale è possibile anche se siamo distanti fisicamente.

 

Il fiore della relazione. Durante il lockdown, abbiamo trascorso più tempo con le persone con cui conviviamo abitualmente, ma con una dimensione temporale sensibilmente diversa: un tempo in compresenza più dilatato, maggiori attività condivise. Prima della pandemia, il lavoro, la scuola, le attività fuori casa, riducevano il tempo della convivenza, limitandolo a pochissime occupazioni. Frequentarsi più del solito e in un ambiente fisico ristretto, per molti non è stato facile, vista la scarsa abitudine alla condivisione di spazi e di attività. Chi ha potuto superare queste difficoltà, ha però sperimentato un miglioramento delle relazioni, più intense e vissute.

 

Il fiore della tolleranza. Ci siamo messi in fila ovunque: al supermercato, alla posta, in banca. Non subito, ma nelle settimane centrali del lockdown era tale la consapevolezza (la paura?) della pericolosità della vicinanza fisica da rendere la maggior parte di noi più pazienti, più disponibili ad attendere il nostro turno. È questo il fiore che sento più a rischio di rapida estinzione, il più delicato e fragile.

 

Il fiore della creatività. Questo periodo è stato un momento di crescita e di ri-scoperta delle proprie abilità, del fare o vivere qualcosa di completamente nuovo (o con modalità nuove). Dall’impasto per la pizza al pane fatto in casa, dalla tinteggiatura al cucito, dal riparare una bicicletta al fare un acquisto on-line, dall’utilizzare skype o zoom allo scrivere una poesia. Le difficoltà aguzzano l’ingegno, e non è un modo di dire. Gli individui sono psicologicamente adattabili, se non restano troppo rigidi.

L’elogio del cambiamento

 

Qualche volta, attraversare una situazione traumatica può arricchire.

 

I risultati potranno essere inattesi, si potrà scoprire qualcosa di nuovo su sé e la propria identità.

 

Il cambiamento è possibile: il processo di evoluzione e crescita può essere complesso, doloroso, spinoso, ma può portare a stare meglio, psicologicamente.

Un caro ringraziamento, anche questa volta, a Paolo Mazzo per la fotografia.

 

 

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